TERAMO – Lo sciopero della fame è finito, i riflettori si sono spenti, oncologia torna ad essere un reparto dove i pazienti sostano in fila per le loro terapie, i loro calvari quotidiani, i media parleranno d’altro. Da lunedì ci sarà un medico in più, ‘dirottato’ dal dipartimento, e qualcosina cambierà. Ma quanto durerà? E soprattutto, si continuerà nella rincorsa alla condizione migliore? Il tribunale del malato lancia l’appello a non mollare l’attenzione, a restare concentrati sulle necessità irrinunciabili di un servizio sanitario che sia tale: l’hospice, i macchinari, il personale infermieristico. E altro, tanto altro. «Nell’incontro che abbiamo avuto con il direttore generale Varrassi e quello sanitario Antelli – spiega Vincenzo Di Benedetto, presidente del Tdm e di Cittadinanza Attiva – non è stato dato risalto a quello che abbiamo sottolineato ai dirigenti della Asl teramana». Di Bendetto si riferisce alla ‘battaglia dei numeri’: «Noi abbiamo rilevato la presenza di 2 medici in reparto di oncologia e di 3 medici nel reparto di degenza. Varrassi ci ha mostrato uno schema cartaceo che indica in 7,67 i medici assegnati al reparto: alla domanda di dove fossero i 2,67 mancanti… il direttore generale ha risposto di non saperlo e ha chiesto al dottor Di Michele, capo del Dipartimento di preparargli una relazione…». Numeri che non spiegano, ancora, perchè sia stata istituita a Giulianova una unità semplice a valenza dipartimentale di oncologia e perchè l’ospedale di Teramo, che è dotato di tutte le specialità necessarie per la cura del cancro, non sia ospedale di riferimento come stabilito dalla legge regionale del 96 e da tutti i piani organizzativi successivi. «Non esiste infatti un efficiente percorso terapeutico-diagnostico-riabilitativo al servizio dei pazienti – aggiunge Di Benedetto -, da tempo chiediamo il ripristino a Teramo del laboratorio Ufa per preparare i farmaci antiblastici, dove si attua il 70% delle chemioterapie e la cui assenza crea tanti disagi ai pazienti». Ma la discussione più importante è sul reparto di degenza e della sua abolizione: «L’intentimento del direttore generale è caldeggiato dal capo del Dipartimento perchè l’esigenza di ricoverare i pazienti oncologici verrebbe soddisfatta dal reparto di medicina. Secondo noi si tratta di un indirizzo assolutamente da contrastare e rispecchia un approccio alle cure che consideriamo inadeguato e arretrato – aggiunge Di Benedetto – basato solo su considerazione economiche e di riduzione di spesa a prescindere dalle conseguenze». Ma secondo il tribunale del malato le difficoltà di oncologia nello sbloccare la situazione organizzativa derivano «da un clima di contrasto tra dirigenti apicali, direttori di dipartimento e di unità operative – conclude Di Benedetto -. questo crea disagio e smarimento nei pazienti che invece avrebbero bisogno di serenità e fiducia nel momento in cui la malattia li rende ancora più fragili».
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